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Trama breve e recensione film

Maggio 16, 2020 Lascia un commento

Mi piace lavorare – Mobbing (2003)

di Francesca Comencini

 Anna, segretaria di terzo livello, madre single, vive un calvario nella sua azienda. Lentamente, ma inesorabilmente, il gruppo dei colleghi si scatena contro di lei. Le vessazioni iniziano, piccole, invisibili, ma ripetute. Anna viene lasciata sola al tavolo della mensa aziendale, nessuno la invita più a prendere il caffè la mattina, il suo posto di lavoro viene occupato.

 messaggio filmico 

Si tratta sicuramente di un bel film, ben realizzato pur avendo utilizzato un budget minimo. Non ha una durata eccessiva e non lascia spazio alla noia. La sua tematica è di grande attualità, soprattutto per i giovani, quando si troveranno a far fronte al grande problema della flessibilità. A chiunque di noi studenti potrebbe accadere in futuro di essere in una situazione simile a quella della nostra protagonista, e che fare? Questa è la domanda che dovremmo porci.

Purtroppo il mobbing è molto frequente. Qualche parola bisogna ben spenderla anche per quanto riguarda l’interpretazione di Nicoletta Braschi (nel film Anna), che a parer mio, rende meglio l’idea dello stato d’animo della persona che è “vittima” del mobbing: attonita e confusa in un primo tempo, il voler far finta di niente o cercare di resistere poi, ed infine, cedere alla disperazione e alla voglia di cedere per via dello stress accumulato. Sono queste due ultime fasi che toccano maggiormente chi è seduto davanti la tv, magari comodo e rilassato nella sua poltrona, perché capisce che non si tratta della solita romanzata o della storiellina inventata, ma della vita reale di tutti i giorni.

L’aderenza del film alla realtà è confermato anche dal fatto che l’azienda presa in esame nel film, è anonima; non vi è infatti nessuna caratteristica che la definisca come il fatturato, il suo scopo.. questo sta a significare che potrebbe essere una ditta qualunque, dove chiunque lavori.

L’unica critica va fatta  per il finale, molto sbrigativo e persino poco chiaro nella sua conclusione (la si deduce nelle poche battute finali). Ha un finale felice, forse per indicare che questi soprusi possono essere vinti in qualche modo, ma risulta essere troppo ottimista per riportare fedelmente la vita reale. Sappiamo bene che nella maggior parte dei casi non è cosi.

Film molto interessante e realistico in quanto tratta di un problema molto comune nel campo del lavoro :il “MOBBING”, che consiste in tutti quei comportamenti atti a far si ché il dipendente si dimetta spontaneamente poiché il lavoro è ancora “rigido”, quindi nessun dipendente può essere licenziato senza una giusta causa.

Però lascia un senso di rabbia in quanto ci si  immedesimi in questa segretaria, obbligata a subire il comportamento dei suoi colleghi (poi ex) e il suo spostamento in reparti in cui si svolgono mansioni sempre più umili, che subisce senza  reagire per paura di essere licenziata e quindi di non riuscire più a mantenere sé stessa e la persona più importante della sua vita, sua figlia.

Anna è molto fragile, però nonostante la sua fragilità trova la forza ogni giorno per andare avanti solo per sua figlia.

Il finale è positivo però la rabbia che suscita il film sarebbe potuta essere diminuita con qualche scena di rivincita della protagonista sulle persone da cui ha subito tutti quei torti, compreso il direttore.

Il film fornisce un quadro della situazione cui molti lavoratori realmente sono costretti a subire poiché hanno alle spalle una famiglia.

In conclusione, penso che il film valga la pena di essere visto per conoscere e prendere coscienza di ciò che ci si può aspettare dal mondo del lavoro oggi.

Il messaggio che questo film vuole dare è soprattutto che non si deve mai credere alle violenze che gli altri ci impongono ma bisogna capire che non si deve tacere ma bensì si deve avere il coraggio di ribellarsi perché Anna alla fine rappresenta una di noi con i nostri problemi e le nostre insicurezze  e quindi che quello che sta succedendo a lei oggi potrebbe capitare anche a noi un domani ovvero essere anche noi assaliti dal fenomeno del “Moobing”.

È un film interessante, che ci mostra una parte di vita di una donna separata con figlia e genitore anziano a carico.
La donna gode di piccoli permessi proprio per queste sue difficoltà, tutelata dalla legge; è una lavoratrice seria, molto timorosa ma che vive nell’ombra senza amicizie, il suo mondo è la sua bimba, il suo papà e la sua scrivania. Ma la nuova società, grazie alla flessibilità, mal sopporta questa donna e la costringe a lavori sempre più umilianti fino a portarla all’ esaurimento. In questo film si vede una figlia saggia e un po’ più grande della sua età che si occupa già dall’età di 12 anni di fare la spesa e di alcuni compiti che di solito riguarderebbero la mamma, una figura di una bambina non tanto realistica sotto certi aspetti a mio parere anche perché a quella età in una grande città come Roma una bambina di 12 anni non viene lasciata fuori la sera tardi per le strade a parlare (come in una parte di questo film) con un artista di strada quale il suonatore di Cynbalon o la si lascia prendere la metropolitana sola, vista da un altro lato una bambina responsabile come possiamo vedere anche oggi che si prende cura della mamma quasi capovolgendo il ruoli da figlia-madre a madre-figlia, come si può notare benissimo in una parte del film dove appunto quando lei è stanca la figlia le legge una parte del Piccolo Principe mentre lei (la mamma) sfinita si addormenta.

Si nota anche una mamma che cerca di fare di tutto per non far mancare niente alla figlia ma che ormai è soprafatta e depressa dalla sua travagliata vita lavorativa,

E’ un po’ deludente anche la fine del film dove appunto si capisce che Anna dopo essersi riferita ad un sindacato e aver fatto causa alla sua azienda… Vince ma non spiega dettagliatamente le fasi di questo percorso… infatti dopo aver trovato un nuovo lavoro che l’aspetta dopo le vacanze fra mille timori parte rassicurata dalla sua bambina.

Rosetta (1999)

dei fratelli Dardenne

Palma D’Oro a Cannes 1999 – Miglior film e Migliore interpretazione femminile.
Per Rosetta, la protagonista, ogni giorno è una lotta contro tutto e tutti ma il suo unico desiderio è quello di trovare un posto di lavoro e di avere una vita normale…  

Sull’ambientazione del film “Rosetta”, ci sono pareri controversi: dicono che il film è ambientato in Francia, altri dicono che è ambientato a Bruxelles, una cosa però è sicura: è ambientato indubbiamente in una periferia, poiché le immagini sono chiare. Si nota chiaramente che Rosetta e la madre vivono in una sorta di parcheggio per roulotte.

Già a partire dall’ambientazione, si nota la “posizione sociale”della protagonista, la quale vive in una situazione economica e sociale non particolarmente rosea.

Rosetta vive con la madre in una roulotte, ed è alla ricerca di un lavoro, ma non di un lavoro precario e senza nessuna garanzia, non vuole accettare il cosiddetto “lavoro nero”. Anche la situazione familiare, che la protagonista vive, non è delle più belle. Infatti la madre è un’alcolista e non si occupa minimamente della figlia, non ha un lavoro, non fa nulla oltre che bere e cimentarsi in performance di sesso, poiché per avere l’acqua è costretta anche a umiliarsi in un certo senso, poiché non avendo soldi deve arrangiarsi come può.

Anche le riprese sono fatte (a mio avviso) in maniera da farci immedesimare nella situazione della protagonista. Inizialmente infatti, utilizzano un particolare modo di riprendere con la “Telecamera di spalle”, che trasmette sia la sensazione di essere la persona stessa di Rosetta e, al contempo, riesce a trasmettere un senso di angoscia.

Rosetta pur di avere un lavoro, diciamo che “fa le scarpe” anche al suo unico amico che verrà infatti licenziato e Rosetta troverà così lavoro vendendo bibite e panini in un camioncino.

Questo film inizialmente non mi è piaciuto per vari motivi, anche se poi mi sono ricreduta. Inizialmente il film mi è sembrato un po’ squallido, forse per l’ambientazione, o per come sono state girate le scene. Ripensandoci, invece, il film mi è sembrato coerente con alcune realtà che ci circondano, che restano nascoste. Infondo la situazione che Rosetta vive è quella di tante ragazze, di tante famiglie, che non possono, pur volendo sollevarsi dalle loro condizioni di miseria. Una miseria obbligata che ci mette in condizioni di fare cose, di avere atteggiamenti che in condizioni normali non avremmo, poiché una ragazza se non si fosse trovata nella disperata situazione di infinita miseria e povertà, non credo che avrebbe mai spifferato piccolo imbroglio di un suo amico al datore di lavoro solo per farlo licenziare ed avere un posto di lavoro. Io trovo in un certo senso, giustificabile anche il comportamento della madre di Rosetta; secondo me infatti lei come reazione a tutta la situazione, ha scelto il bere, secondo me per dimenticare o almeno per vivere per un attimo in un’altra realtà, meno permeata di problemi irrisolvibili come quelli che quotidianamente si trova ad affrontare.

Trovo che il film dei fratelli Dardenne (che da tempo affrontato problemi sociali nei loro film) sia positivo nonostante tratti argomenti negativi. Positivo poiché tratta un argomento forte, difficile, che spesso la gente finge di non vedere o non vuole vedere perché preferisce stare nelle sue certezze, fingendo di star bene e con l’errata convinzione che non si troverà mai ad affrontare una situazione disperata come Rosetta … sbagliando però.

Rosetta è un film che fa riscontrare nelle persone giudizi differenti  per la sua diversità rispetto alle pellicole a cui ci ha abituato il grande cinema.

Una particolarità di questo film è sicuramente la tecnica utilizzata dai fratelli Dardenne per girare le scene,che sono state realizzate tenendo la telecamera sulla spalla e seguendo la protagonista- Rosetta- da una distanza di 10metri,per tutta la durata della storia.

Il film sembra quasi un documentario sulla vita che molti ragazzi sono costretti ,per svariati motivi, a vivere; è uno spezzone di vita quotidiana di una giovane ragazza, Rosetta, che abita in un campeggio nella periferia di Bruxelles, con una madre alcolizzata  e spesso prostituta, incapace di occuparsi di sua figlia ,con frequenti  dolori alle pancia,in costante solitudine,  e senza una figura paterna.

Rosetta è una ragazza alla continua ricerca di un lavoro, e per ottenerlo è disposta a ricorrere a ogni mezzo- giunge addirittura a pensare di lasciar morire il suo “amico” Riquet  per poter prendere il suo posto di lavoro,ma” fortunatamente” si” limiterà” a farlo licenziare rivelando al padrone un suo segreto-e quando lo trova ci si aggrappa con le unghie. Il lavoro per lei è qualcosa che va oltre la  semplice necessita finanziaria,rappresenta un modo per essere qualcuno, un tentativo di fuga dalla sua vita,però anche il bisogno finanziario ha una certa rilevanza ,poiché vista l’assenza del padre e con una certamente non in condizioni di poter lavorare lei  è l’unico sostegno finanziario per la “famiglia” e per riuscire a racimolare qualche soldo giunge persino a vendere i suoi abiti.

Rosetta ha un carattere molto introverso e aggressivo, si lascia coinvolgere in una maniera estremamente forte dalle circostanze, e i suoi sentimenti di rabbia- quando viene licenziata-misti con lo stupore-quando Riquet va a trovarla- si traducono in un violento uso delle mani  e in scene che definirei di isteria. Ma per molti versi il carattere di Rosetta è anche dotato di forza e intraprendenza;infatti quando la madre fugge di casa per tentare una disintossicazione lei raccoglie le sue forze e,grazie anche all’aiuto di Riquet,riesce a trovare un appartamento-probabilmente convinta che il lavoro che era riuscita a trovare sarebbe durato più a lungo di quanto invece e stato -nel tentativo di staccarsi da ciò  a cui era stata legata fino a quel momento. Ma la forza,spesso, non è una risorsa illimitata e la dimostrazione e data dal suo tentativo di spegnere la propria vita e quella della madre,ritornata dal suo tentativo di smettere con l’alcool, con una bombola di gas, che essendo finita costringe la ragazza ad andare ad acquistarne un’altra,ed e proprio durante quel tragitto che viene fortunatamente bloccata dall’amico che , nonostante fosse stato precedentemente tradito da lei, le salva la vita mentre Rosetta , sorprendentemente, scoppia in lacrime.

E’ un film che ho trovato molto interessante, poiché espone in maniera molto realistica e coinvolgente una drammatica realtà. Tuttavia la pellicola ha anche delle pecche,infatti alcune scene sono molto ripetitive e poco chiare, ed inoltre ha un finale molto deludente poiché lascia in sospeso parecchi questioni e non permette di capire se lo sventato suicidio porterà a un lieto fine o meno……si può definire un finale libero a cui ogni persona può dare un proprio seguito!

Rosetta (vedi Emilie Dequenne) vive in una roulotte di un campeggio in periferia di un centro abitato, insieme alla madre alcolizzata, che pur di avere una bottiglia a cui attaccarsi,compie spesso azioni poco decorose. La ragazza cerca disperatamente un lavoro dignitoso giù in città e spesso viene licenziata senza ragione, approfittando del fatto che è estremamente giovane. Per far fronte alla miseria che la circonda e per cercare di realizzare il suo più grande sogno –quello di condurre una vita decente-, arriva anche a tradire il suo amico Riquet. Passano i giorni e la sua vita non accenna a migliorare così un giorno, tornando da lavoro, Rosetta decide di porre fine alle sue sofferenze cercando di uccidersi. Lascia infatti aperta la bombola del gas che, per caso o per sua ulteriore sfortuna, è finita. Non perde tempo per comprarne un’altra ma finisce con il cadere a terra piangendo. Riquet arrivato in quel momento, l’aiuta ad alzarsi e i due si guardano.. la scelta del finale sta allo spettatore.

  Il film Rosetta è stato premiato all’ultimo festival di Cannes dove ha vinto la Palma d’oro come miglior film e come migliore interpretazione femminile. L’ interpretazione di Emilie Dequenne rende meglio l’idea della situazione del suo personaggio, rendendola allo stesso tempo verosimile e drammatica, più incline alla realtà che a fatti astratti.

L’idea dei registi era infatti quella riuscire a far immedesimare lo spettatore con la persona protagonista, tra le difficoltà e le pene che Rosetta era costretta a subire. È per questo che il film assume quasi i connotati di un documentario, proprio per la stretta vicinanza alla realtà.

Senza dubbio, la cosa che più colpisce all’inizio è la ripresa delle immagini: una macchina da presa insegue la protagonista e si ha il susseguirsi rapido di una serie di immagini, mosse, a volte poco chiare e incomprensibili.. La scelta di questo particolare modo di riprendere mette sì in risalto i sentimenti della giovane ragazza (la rabbia soprattutto)  ma rende il film fastidioso alla vista –per via delle immagini in continuo movimento per l’appunto-.  Le inquadrature sono strette per far capire agli spettatori cosa succede intorno agli attori.

Cercando in Internet la locandina del film,ho letto la recensione di Riccardo Ventrella, del quale una frase, a proposito dei registi, mi ha colpito in particolar modo: “fan parlare le cose e i fatti, mettono in campo i personaggi e li lasciano alla loro verità”… Ti accorgi che è vero.

L’unico aspetto negativo del film è che in alcuni tratti è molto ripetitivo; da un’attenzione, forse esagerata, ai piccoli gesti, al tragitto quotidiano della ragazza, rischiando di annoiare lo spettatore.

La mancanza di una musica è una scelta altrettanto particolare dei due fratelli belgi; in tal modo si risaltano i rumori dell’ambiente circostante che lo rendono ancora più freddo, aspro, reale.

Da notare che le battute degli attori non sono mai lunghe, nessuno fa mai un discorso, né dei pensieri ad alta voce.. Che non sia per dare un po’ di vita al film?

No, il film è già movimentato dalle infuriate della ragazza, la velocità con cui si alternano le battute rende meno lenta la narrazione.

Quando Rosetta si appresta a dormire, a casa dell’amico, dice a sé stessa che vorrebbe una vita normale, ma di non disperarsi se ancora non ce l’ha: questa è la cosa che più mi ha colpito. Il suo spirito di sopravvivenza, che spesso la porta ad essere aggressiva, la aiuta a diventare adulta in un mondo in cui non c’è bisogno di lei.

Il finale viene lasciato ad una libera interpretazione, probabilmente per dare spazio alla fantasia o ai pensieri di ciascuno di noi; da parte mia, intravedo una fine positiva, vuoi perché chi scrive ora è un amante dei lieti fine, vuoi per ottimismo, fatto sta che penso che alla ragazza si aprano, da quel momento, delle belle aspettative per il suo futuro (anche se a dire il vero è assai poco realistico tutto ciò)

Paul, Mick e gli altri (2001)

di Ken Loach

Quando la privatizzazione coinvolge la British Rail una squadra di ferrovieri accetta l’indennità speciale, ma l’ottimismo iniziale viene meno nel momento in cui si devono prendere decisioni dure e disperate. Paul vuole tornare con Lisa e le figlie ma non riesce a trovare l’energia per farlo, Mick ospita Paul sul suo divano ma vorrebbe fare qualcosa di più per lui, Len vorrebbe trovare più tempo per i nipotini, Gerry è rappresentante sindacale ma non riesce ad ottenere attenzione dal management.  

Il film narra di un gruppo di operai come tanti, che lavorano in uno scalo ferroviario nel sud della provincia inglese dello Yorkshire (che possiede giacimenti di carbone, ferro, industrie metallurgiche e laniere). Purtroppo per loro si trovano a lavorare nel periodo della privatizzazione delle ferrovie britanniche, che, ovviamente impone un notevole abbassamento dei costi a discapito dei lavoratori i quali devono dare il massimo con il minimo che viene loro messo a disposizione.

Nel film si parla anche della quotidianità di queste persone, che, oltre a dover affrontare i problemi che la vita quotidianamente gli impone, con figli, mogli si trovano ad essere quasi svalutati come persone, esseri umani, anche sul posto di lavoro: vengono quasi trattati come una merce, da usare, sfruttare, spremere fino a quando non diventano dei “rifiuti umani” da sostituire con una “merce fresca” che ignara, o, come più spesso capita disperata e bisognosa di soldi almeno per poter sopravvivere è disposta a rinunciare in maniera tacita a tutti quei diritti che i lavoratori con tantissimi sacrifici, sono riusciti a guadagnare nel corso della storia con lotte, scioperi, combattendo la repressione imposta dai padroni.

Paul, Mick e gli altri si sentono quasi privati della loro stima di se, della loro sicurezza, hanno perso tutto e sono entrati a far parte di tutte quelle persone che vengono sfruttate dalla nostra società.

A mio parere il film era veramente bello poiché, oltre a raccontare la vita di questi operai il regista ha affrontato in maniera abbastanza esplicita temi molto attuali come quello delle privatizzazioni e del “liberismo” parola che sembra tanto carina, che evoca qusi un senso di libertà (poiché nel liberismo si propugna un sistema basato sulla libera concorrenza che però limita l’intervento statale SPECIALMENTE nell’erogazione di servizi di pubblico interesse) e che ha delle conseguenze ben poco positive per i lavoratori, è come un virus nascosto dentro ad una succosa caramella che, in teoria, offre un piacere ma in realtà finisce per infettare e distruggere chiunque rimanga incantato da varie promesse fatte dagli imprenditori, da quel gruppo di imprenditori che pensa solo al proprio interesse. Ken Loach è riuscito a trasmettermi un profondo senso di oppressione e di solidarietà nei confronti di tutti i lavoratori.

Ken Loach, regista inglese, noto per i film che trattano temi come “il mondo del lavoro” e temi di lotte in generale, molto bello anche “Terra e libertà”.

Voto 8 ½ perché affronta il tema trattato con molta passione e riesce a coinvolgere gli spettatori in modo veramente reale. Usa però termini troppo specifici, che non potrebbero essere compresi da tutti, specialmente dai ragazzi (che secondo me dovrebbero essere sensibilizzati sulla tematica del lavoro) poiché termini propri del lavoro come “ristrutturazione”, “imprese remunerative”, e “obsolescenza del posto di lavoro fisso”.                                                     

Il progetto nasce grazie alla collaborazione di un operaio della British Rail, Rob Dawber, che scrive una lettera al regista per raccontargli la sua esperienza di diciassette anni di lavoro e di come ha perso il posto a causa della privatizzazione. Ken Loach si interessa subito al caso e commissiona una sceneggiatura che Rob Dawber scrive durante una convalescenza. Nel frattempo, però, gli viene diagnosticato un tumore a causa del prolungato contatto con l’amianto sul posto di lavoro. Il film viene terminato giusto in tempo per consentire a Dawber di vederlo, prima di morire a 44 anni.

La parola sulla quale il registra vuole farci riflettere è “privatizzazione”. Ma cosa s’intende con questa parola? È un processo di dismissione di imprese pubbliche e d’alienazione di una parte del patrimonio dello Stato e degli enti territoriali. Essa viene attuata, ad esempio, per far diminuire il volume del debito pubblico o un crescente indebitamento. Abbiamo due tipologie di privatizzazione, una formale e una sostanziale. La prima si ha quando cambia la forma giuridica  di imprese pubbliche (pur rimanendo la proprietà interamente o in larga parte allo Stato e agli altri enti pubblici. La seconda invece, si manifesta quando avviene una vera e propria dismissione a favore di soggetti privati, mediante la vendita di quote di maggioranza del capitale detenuto dallo Stato o da enti pubblici, di imprese o immobili pubblici.(Riferim alla Rivista… n.3 Dicembre 2004, “Privatizzazioni e cartolarizzazioni, sotto la lente il “caso Italia”).

   Molti critici ritengono invece che il suo film sia una esplicita critica contro la Tacther, la “Iron Lady”. Ho trovato molto originale il titolo del lungo-metraggio: “The Navigators”= I Navigatori.. è interessante la scelta di questa metafora per meglio spiegare il lavoro di Ken Loach. Oltretutto lascia ampio margine di interpretazione: c’è chi li considera come “navigatori nel mare del libero mercato”, altri prendono in considerazione lo stato d’animo dei lavoratori, scombussolati  e insicuri per via di questi repentini cambiamenti, così come un navigatore, persa la sua bussola, non sa più cosa fare ne dove andare. In principio il film e gli stessi protagonisti sono sull’ottimismo per arrivare infine, ad un finale triste, pessimistico ma allo stesso tempo in conclusivo. L’ultima frase del film è infatti: “ci vediamo al funerale”, poi il nulla. Come se la caveranno i protagonisti? Riusciranno a trovare un posto di lavoro in grado di dargli più sicurezza? Queste non sono altro che alcune delle domande che si pone lo spettatore mentre ancora appaiono sul teleschermo i titoli di coda. Una cosa che ho apprezzato è l’ironia di cui il registra si serve per narrare le vicende. L’uso di un linguaggio rozzo e poco corretto (ad inizio film) rende senz’altro più veritiero il film, che a tratti sembra quasi assumere i connotati di un documentario. Le situazioni, l’ambiente, i rapporti interpersonali, le reazioni dei singoli lavoratori, i loro problemi al di fuori dell’orario lavorativo sono tutte cose che sicuramente contribuiscono a renderlo reale.

Nel film vengono riassunti gli aspetti negativi della privatizzazione per il lavoratore (sempre che esistano dei vantaggi): -l’inadempienza alle più essenziali regole di sicurezza, pur di avere un lavoro e svolgerlo rapidamente; – la perdita dei diritti, non vi sono più garanzie né tanto meno potere sindacali a proteggerlo; -si è costretti alla disoccupazione, la società spinge i lavoratori ad andarsene spontaneamente per ridurre le spese; -non vengono retribuite la cassa previdenza, le ferie pagate, le malattie ect..; -i lavoratori “dipendono” dalle agenzie di lavoro interinale, la quale dispone continuamente della suddetta manodopera (dipendono perché? Devono accettare le condizioni che l’agenzia gli impone senza opporsi); -mette in evidenza che nel lavoro interinale ciò che conta è lo svolgere bene e velocemente il proprio lavoro, in quanto retribuiti in base alla produttività; -non si può creare un gruppo unito di lavoratori perché c’è un alta competizione e rivalità tra loro, si pensa solo a se stessi. Una scena che mi ha colpito è stata quella dove i lavoratori spostano il loro compagno di lavoro ferito per far credere che l’incidente sia accaduto fuori dall’ambito lavorativo (per non compromettere la propria posizione e quindi non avere più la possibilità di trovare un lavoro) e non a causa del fatto che non avevano rispettato le norme sulla sicurezza. È stata una reazione priva di tatto, dettata probabilmente dalla disperazione, ma che provoca disgusto per quell’atteggiamento.

È finita l’epoca della sicurezza del lavoro, oggi si parla di flessibilità, un vantaggio per pochi, una croce per gli altri.

Il film tratta un argomento molto importante e di grande attualità : LA SICUREZZA SUL LAVORO!

Oggi, infatti ,molte aziende private (che hanno quindi come primo obiettivo il lucro) danno molta importanza al costante aumento dei ricavi e alla riduzione dei costi a svantaggio della sicurezza dei lavoratori che un molti casi non sono forniti delle giuste attrezzature e lavorano in condizioni e luoghi per niente adatti.

Un esempio rilevante nel film è l’incidente di Jim (uno degli “altri “di cui si parla nel titolo),che, mentre lavorava insieme ai suoi colleghi in un tratto ferroviario,di notte e senza alcuna segnalazione luminosa che avvisasse della loro presenza, è stato colpito da un oggetto che sporgeva dal treno causandone la morte poco dopo. Tra le altre cose la politica delle aziende private prevede il contenimento delle morti sul lavoro e la riservatezza sulle condizioni lavorative, cosi i colleghi di Jim ,nel pieno del panico per la vista del loro amico steso a terra ferito, sono costretti a prendere una importante decisione: raccontare la verità sull’incidente rischiando di perdere il lavoro,oppure occultare la realtà facendo credere che il loro amico fosse stato investito da un’ automobile e spostando ,di conseguenza, il corpo dal luogo dell’incidente a un altro, riuscendo a mantenere il posto di lavoro.

Trovarsi costretti a prendere decisioni del genere è sicuramente TERRIBILE , e fa capire l’importanza e il rispetto che viene dato oggi al lavoratore all’interno del nuovo mercato del lavoro. Infatti al giorno d’oggi,in alcuni casi,è sufficiente un minimo di disaccordo sugli ordini impartiti (pur trovandosi nella ragione) o essere considerati poco remunerativi per il raggiungimento dell0biettivo per ritrovarsi senza un lavoro.

La disoccupazione oltre ad avere dei risvolti negativi a livello economico,causa problemi sul piano psicologico e familiare. Il lavoratore si sente privato di una sua posizione e incapace di provvedere al sostentamento di se stesso e della sua famiglia e all’interno di quest’ultima vi è uno sconvolgimento delle normali abitudini e dei normali ritmi. Anche nel film quando Mick resta senza ingaggio da parte dell’agenzia a cui si era rivolto per aver contestato un ordine da lui, giustamente , ritenuto pericoloso, nella sua famiglia si crea un clima molto teso fino a quando la moglie ,esasperata dalla costante presenza del marito che cerca di rendersi utile senza però riuscirvi, lo costringe ad uscire di casa per andare all’agenzia in cerca di lavoro.

Infatti i lavoratori di questo film dopo la privatizzazione della stazione ferroviaria nella quale erano adetti alla manutenzione, vengono messi in una situazione tale che li costringe ad accettare l’indennità offerta dall’azienda e a rivolgersi ad una agenzia dove accettano di lavorare a chiamata.

A mio parere in questo film Ken Loach è riuscito a cogliere nel segno un problema ,che riguarda da vicino anche noi giovani,esponendolo in modo leggero ed efficace.

In good company (2005)

 di Paul Weitz

LA TRAMA: Dan Foreman, di 51 anni, direttore commerciale di grande successo, si ritrova di colpo, alla cessione della sua società –Sports America-, degradato al ruolo di “secondo pilota” avendo come capo Carter Dureya, un giovane di 26 inesperto nel settore di vendita di spazi pubblicitari nella loro rivista. Pur essendo tentato, non può permettersi di lasciare il lavoro per mandare la sua primogenita Alex alla costosa Università di New York e perché la moglie è inaspettatamente incinta del terzo figlio. Le cose peggiorano quando Carter si innamora di Alex, dopo essersi autoinvitato a casa di Dan per cena.

La commedia di Paul Weitz richiama senza alcuna esitazione il tema del lavoro, dedicando una particolare attenzione alla lotta spietata per il successo o per mantenere, semplicemente, il proprio posto di lavoro. Il tema è di grande attualità, soprattutto negli Usa, dove frequentemente, le multinazionali acquistano le aziende, attuando poi all’interno di esse, una politica di “modernizzazione” che equivale esattamente alle tristi parole a noi note:tagli del personale, per abbattere il costo del lavoro. Competitività e rivalità professionale tra colleghi sono all’ordine del giorno, in cui prevale il cinismo e l’illusione di apportare miglioramenti all’azienda. Lo stesso posto di lavoro non viene attribuito per le capacità e abilità della persona ma per una fitta “ragnatela” di conoscenze: è il caso del giovane Carter, che per simpatia ha ottenuto un alto impiego del quale non sa nemmeno di cosa si occupi. Persone che hanno carisma nel parlare e che convincono le persone della profondità delle proprie parole (quando sono idiozie) fanno carriera –ne è un esempio Teddi K nel film-. Ci si rende conto solo alla fine che per svolgere un determinato lavoro debbano esserci i requisiti necessari al fine ultimo di portare avanti l’attività: l’esperienza pluriennale di Dan, la sua sicurezza nelle operazioni da svolgere e la sua astuzia per venire a capo con i problemi lo dimostrano.

Anche il rapporto fiduciario e di stima tra colleghi che da anni collaborano come una grande squadra gioca un ruolo fondamentale per un buon funzionamento: l’acquisizione della società invece, mette tutto questo in subbuglio, creando una sorta di guerra, un prevalere l’uno sull’altro, insinuazioni velenose che compromettono amicizie di lunga data  (ad es. quando Dan annuncia ai componenti della sua ex-squadra il loro licenziamento, quest’ultimi lo accusano di tradimento).

Tutto questo rientra nel significato dell’ironico titolo del film, In Good Company appunto. Esso infatti non sta a significare “una buona compagnia” ma una “cattiva società”, soprattutto per  quanto riguarda la sua gestione.

A mio avviso però, si potrebbe cogliere anche un ulteriore tema: la solitudine dell’uomo al potere. Se prendiamo in considerazione la vita di Carter notiamo che si, ha raggiunto il suo scopo, ovvero quello di essere arrivato “in alto”, ma a quale prezzo? È solo. Il suo matrimonio è finito dopo solo sette mesi, probabilmente perché lui era sempre occupato con il lavoro, la sua compagnia è un pesciolino. E divertente come lui cerchi in tutti i modi di trovarsi degli impegni in modo che la sua vita appaia meno vuota: organizza riunioni di lavoro la domenica, si autoinvita a casa di Dan..

Sicuramente è molto ben riuscita l’interpretazione di Topher Grace (Carter) che si cala perfettamente nei panni di uno sfigato che non deve preoccuparsi della portata del suo portafoglio; appaiono evidenti i cambiamenti dello stato d’animo del personaggio, ora confuso, poi arrabbiato, ed infine entusiasta, per tornare nuovamente in uno stato di confusione.

Mi ha divertito lo scambio di ruoli che c’è stato: dapprima uno scontro tra due generazioni poi Dan che prende in mano le redini e si occupa letteralmente del suo piccolo capo. È lui, il “secondo pilota”, che gli fa da maestro e gli insegna (non solo sul piano professionale ma anche morale).

Le immagini sono veramente belle, nitide e ben illuminate, che fa si che renda più vivace l’ambiente in cui ha luogo la storia. Il comportamento di Alex mi ha stupito, una ragazza all’apparenza timida e riservata ma che in realtà sa bene cosa vuole dalla vita.

Il finale stravolge tutta la storia: Dan di nuovo direttore delle vendite, Alex lascia Dan e quest’ultimo capisce che quel genere di vita non fa per lui e rifiuta la proposta di Dan di lavorare al suo fianco. Troppo buonista? Si, forse esagerato in un’ era in cui domina la ricerca di un utile individuale a svantaggio degli altri.

È pero importante ricordare una cosa….. SINERGIA RAGAZZI, SINERGIA..

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